Halma: ma più gioia che noia

Roberto Beccantini19 agosto 2024

Mbangula chi? Samuel Mbangula, 20 anni, belga di origini congolesi. Confesso: mai «coverto». Titolare contro il Como. E subito a segno: da sinistra al centro e destro dal limite, strisciante: alla Chiesa. I nostalgici diranno: che chiappe, Thiago. I futuristi: che fiuto. Vale il lavoro della settimana. Ci si aspettava Douglas Luiz. Niente, se non alla fine. E Danilo: niente manco lui. Capitano, Gatti: come dare la stella di sceriffo a un barista del Bronx.

Era la prima di Motta juventino. Piano con i superlativi. Se mai, caccia grossa alle differenze: interessante il combinato Thuram-Locatelli (se mi fermo io, vai tu; se vado io, fermati tu); Cambiaso-Weah catena di destra, Cabal-Mbangula cordata di sinistra; Yildiz vicino a Vlahovic, sì, ma non fisso: libero d’attacco. Hanno timbrato quelli che, una volta, chiamavamo ali: Mbangula e, su strappo del turco e velo del serbo, il figlio di George, «centravanti» di passaggio. Movimento e movimenti.

Madama ha alternato i bivacchi alle migrazioni di gruppo, pronta a buttarsi negli spazi: e a procurarseli, se e quando poteva. E comunque, di Vlahovic, due pali e una rete annullata per offside di Cambiaso a monte del monte. Il Como di Fabregas, neo-promosso, perdeva i pezzi e palleggiava leggiadro (sin troppo): zero tiri nello specchio; e dietro, turbolenze da film d’avventura.

Bello il 3-0 (stesso scarto di Udine, la scorsa stagione): da sinistra a destra, da Mbangula (chapeau) a Cambiaso, mancino a giro. Ripeto: halma. Lo impone la differenza di stoffa; lo suggerisce il periodo. Ho colto, però, più gioia che noia. La panchina ridotta all’osso ha consigliato ritmi furbi e una gestione in pantofole. Il k.o. di Weah aveva sdoganato Nicolò Savona, 21 anni, ennesimo Next gen. C’era curiosità,
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Amma faticà

Roberto Beccantini18 agosto 2024

Se anche il primissimo Napoli di Diego perse 3-1 a Verona, perché meravigliarsi del 3-0 subito dal Napoli di Mazzocchi, Rrahmani e Juan Jesus? D’accordo, quel Verona, allenato da mastro Bagnoli, avrebbe poi vinto lo scudetto. E questo difficilmente lo vincerà. I battesimi sono sempre infidi. Specialmente a mercato aperto. Non credo che la chiave sia stata il modulo, per indicativo che rimanga nel bene e nel male.

Penso, piuttosto, che siano state le dichiarazioni della vigilia. Zanetti: «Questi siamo, fuori le palle». Conte Dracula: «Questi non saremo, urge implementare la rosa». Da qualche parte ho letto proprio «implementare». Mancava Buongiorno, si è fatto male Kvara, da Osimhen a Lukaku centravanti cercasi. Però. L’Hellas mordeva, il Napoli no. Non gli sono mancate le occasioni (non molte, a essere sinceri): le ha sbagliate. Gli avversari, al contrario, ne hanno fatto tesoro. Squillo di Dailon Livramento, capoverdiano, e poi doppietta di Daniel Mosquera, colombiano, ex Atletico Bucaramanga, emerso come Venere dalle acque della panchina.

Il 3-4-2-1, ammesso che tale fosse, ha stappato le bollicine di qualche azione, sì, ma alla lunga si è perso nella selva degli avversari. Da un lato, martelli e randelli. Dall’altro, machete spuntati e bussole confuse (persino Lobotka). Uscito il georgiano, ci si è arrampicati sugli specchi di una manovra avara, facilmente leggibile dai Dawidowicz e dai Lazovic: ne cito due per celebrarne cento.

Nessun allarme, a patto che nessun dorma. Immagino che De Laurentiis si aspettasse qualcosina di meglio, se non proprio di più. Pure il sottoscritto. Il presidente conosceva l’allenatore, l’allenatore conosceva il presidente. Al diavolo, i salamelecchi: pane al pane. In fin dei Conte, non siamo che al 18 agosto, Napoli mio non ti conosco (ancora). Appunto.

Che confusione…

Roberto Beccantini17 agosto 2024

La «prima» è come il talco che solleva LeBron: una nuvola. Cosa nasconde, se pioggia o sole (e per chi), lo sapremo. Certo, il 2-2 di Marassi e il 2-2 di San Siro hanno sorpreso. Perché zeppi di episodi, perché sanciti ben oltre il novantesimo. Perché filosoficamente diversi.

Il Genoa del Gila è un altro dentista. Da Gudmundsson-Retegui a Vitinha-Messias: eppure… Aveva di fronte i campioni. Svegliati, per paradosso, da una doppia dormita, di Sommer e Bisseck, sul gol di Vogliacco. Il Curry della situazione è stato Thuram: gran colpo di testa su palombella di Barella; scavetto in capo a una furiosa azione di Taremi e Frattesi (i cambi). Poi, quando Dan Peterson avrebbe ordinato «mamma, butta la pasta», ecco il braccio largo di Bisseck: Var (come nei casi del penalty tolto correttamente a Thuram e dell’1-2, correttamente recuperato) e dischetto. Messias: parata, tap-in e arena ruggente. Era il 95’.

Morale: difese e portieri ballerini, Grifo sempre sul pezzo, Badelj-Frendrup trincee e baionette, Inter un po’ così, imprecisa, sciupona, pasticciona. Con Lau-Toro, per una volta, cornice e non quadro.

Per 89’, medaglia T’oro. Vanoli, al debutto, soffre e graffia. Non rinuncia. Sfonda sulle fasce. L’autorete di Thiaw, generata da un ricamo Sanabria-Zapata, nasce a sinistra e «muore» a destra, sulla crapa di Bellanova. L’orologio di Maresca non vibra, lo soccorre Doveri, al video. Il raddoppio di Zapata è figlio di Lazaro, dalla fascia mancina. Fonseca, al battesimo, aveva mescolato i titolari e spaccato la formazione, ricavando un Milan né nuovo né vecchio. Un Milanino. Lo hanno salvato le staffette: Morata al posto di un ombroso Jovic, a segno di furbizia; Okafor di volée, su tiro-cross di Musah. Era il 95’. Anche Vanoli aveva pescato in panca, ma c’è chi può e chi non può, «lui» non poteva (o non ne aveva). Dimenticavo gli errori sotto porta del «solito» Leao.


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